Marco Giusti è autore televisivo, giornalista e critico. Nei suoi 40 anni di esperienza in Rai è stato autore di programmi iconici per l’emittente nazionale, fra cui Blob e più recentemente Stracult. Autorevole studioso di Carosello, cinema, televisione e animazione, ha scritto testi di riferimento sulla: Dizionario dei cartoni animali, Dizionario del western all’Italiana, Dizionario dei film italiani, Il grande libro di Carosello, Carosello: non è vero che tutto fa brodo, Moana. Ad oggi continua ad alternare la sua attività di autore con quella di scrittore e giornalista, collaborando anche per il portale Dagospia.
Lo ringraziamo per averci concesso questa piccola intervista / conversazione su Carosello.
FR: Carosello nasce nel febbraio 1957, in un’ Italia completamente diversa: ci sono Pio XII, lo Sputnik sovietico, l’inizio del boom economico, e si conclude nel 77, con le stragi nere e rosse, l’attentato di Brescia, L’omicidio Guido Rossa, L’Italicus. Possiamo considerarlo uno spaccato della storia d’Italia.
MG: sono 20 anni fondamentali, perché attraversano il boom economico italiano ma attraversano anche il cinema italiano. Il cinema nel 57 era ancora, in generale, semplice e provinciale e nel 77 è una cosa completamente diversa: sono finiti i generi, non ci sono più i grandi registi.
FR: Tu sei cresciuto in quegli anni: cosa era per voi, ma soprattutto per te, Carosello?
MG: Io da piccolo ero lo spettatore ideale. li guardavo tutti: Toto e Tata, Caballero, questi erano i miei eroi.
Crescendo, da critico, naturalmente rilevo dell’altro. La vedo come una storia segreta e alternativa del nostro cinema e del nostro spettacolo, un mondo duplex alla Batman, dove tutto è possibile. Un mondo dove Luciano Emmer fa gli spot con Totò, dove puoi incontrare Carmelo Bene e Gin Maria Volontè. C’era tutto quello che potevi desiderare in Carosello, un sottomondo quanto mai evidente perché era trasmesso in prima serata, tutti i giorni, con degli ascolti pazzeschi. C’erano registi pazzeschi, volti pazzeschi, in un’Italia che stava diventando più grande e adulta. E la cosa incredibile è che era completamente anonimo.
FR: Hai citato Carmelo Bene. Ha fatto anche lui Carosello?
MG: Non ho mai visto nessuno sketch ma so che c’era. So che c’era anche Volontè, ma evidentemente hanno fatto solo piccole comparsate.
Di 6-7 pezzi di Carosello trasmessi in un trimestre, la Rai ne conservava uno solo, al massimo due. Quindi non possiamo sapere se, ad esempio, in una serie del 58 con l’ispettore Rock sia apparso un giovane attore ancora sconosciuto che poi avrebbe sfondato nel cinema.
FR: L’ispettore Rock, quello della brillantina Linetti!
MG: Anche io ho commesso un errore, non ho mai usato brillantina Linetti!
FR: Quindi, tornando un attimo su Carmelo Bene, è una tua ipotesi o ci sono degli elementi concreti?
MG: No, i primi anni di Carosello c’erano enormi elenchi alla Sacis, l’azienda consociata alla Rai che oggi non esiste più e che si occupava della produzione degli spot. Nei loro archivi, nei primissimi anni, erano conservati i dati e i ruoli degli attori. Io ho trovato i nomi di Bene e Volontè, ma a loro non li ho mai visti negli sketch.
FR: Che fine ha fatto tutto quel materiale?
MG: Gran parte è stato macerato. Su una serie di 6-7 Carosello, ad esempio dell’ispettore Rock, almeno 5 o 6 venivano macerati. Quello che resta è comunque moltissimo, perché rimane un episodio di ogni serie. In genere erano tutti abbastanza simili, ma c’erano anche serie che non lo erano affatto, nelle quali ogni episodio era diverso, con attori diversi. Purtroppo non sapremo mai cosa è andato perduto per sempre.
Faccio un esempio: la serie con i cantanti misteriosi, i cosiddetti urlatori. Protagonisti di questi sketch erano una famiglia borghese e un urlatore. Erano sempre molto agitati, ma dopo l’assunzione della Camomilla (Bonomelli) si calmavano. Uno di questi spot sappiamo che aveva Adriano Celentano come protagonista, ma non si sa che fine abbia fatto. Invece è rimasto lo spot con Guidone, al cui interno si intravede Adriano Celentano. Guidone, Celentano, Tony Dall’ara, erano alcuni di questi urlatori.
Ci sono anche serie legate a cantanti o a personaggi radiofonici, noti alla fine degli anni 50, con pezzi tutti diversi. In ogni episodio c’era un cantante nuovo. Ad esempio, in una serie con il maestro Giovanni Danzi, lo scopritore di Mina, c’è un Carosello con Mina che purtroppo si è perso.
Poi c’è il Carosello con Berlusconi, che io pensavo di aver individuato, anche se lui nega di essere lui.
FR: Puoi approfondire? Che ruolo ebbe Berlusconi nel Carosello?
MG: Compariva in un piccolo codino di uno spot sullo stock 84. i codini sono i richiami al prodotto al termine dello spot che il Carosello pubblicizza. Questa serie dello stock aveva fra i protagonisti Lina Volonghi, Umberto Melnati e Raimondo Vianello che ogni volta si incontravano al Bar. Era più o meno così:
– “Quando andranno d’accordo al Bar?”
Uno di loro esclama:
“Mi dia un Brandy” – “quale brandy?” Risponde il barista. “Mah, mi dia un brandy qualunque!”. E tutti esclamano “Oh, che figura!”. Allora intervengono Lina Volonghi e Raimondo Vianello: “Un brandy stock 84” – “Oh, il signore si che se ne intende!”.
Ecco, in questo spot compariva un giovane Silvio, negli anni 60.
FR: Cosa ti spinse a iniziare questo studio accurato su Carosello?
MG: Ero abbastanza giovane, avevo circa 30 anni, collaboravo con Enrico Ghezzi ed eravamo negli anni 80. Chiesero a Enrico di fare una rassegna di caroselli d’autore per la mostra del cinema di Venezia. La mostra si chiamava Corti comici, corti d’autore. Così io iniziai a vedere tutto e contemporaneamente chiamai tutti i registi italiani di cinema, da Ugo Gregoretti a Sergio Leone, Da Mauro Bolognini a Comencini e Fellini. Alcuni negavano, altri raccontarono un sacco di cose. Altri ancora fecero la la spia su cosa avevano fatto gli altri. Ad esempio su Antonioni.
Così venne fuori un mondo sommerso inimmaginabile. Anche Sordi e Nino Mandredi avevano fatto Carosello, pure se Sordi lo negava sempre. Anche Franco e Ciccio, prima di fare il cinema, fecero un pilot mai andato in onda.
FR: Questo di Sordi si è mai visto?
MG: Asti Gancia. Se vuoi te lo canto tutto: “Ritmo lento del maestro Gambero!”
FR: Sembra che anche Orson Wells…
MG: Orson Wells fece un Carosello per lo stock 84. Lo fece ma non andò mai in onda perché quando i committenti lo videro dissero:“Questo è troppo ubriaco, ci rovina”. Gli diedero un milione in contanti e finì li.
FR: In buona sostanza i grandi registi e attori si vergognavano di fare il Carosello?
MG: Alcuni si. I fratelli Taviani e Ugo Gregoretti invece non si vergognavano affatto, perché era un modo per loro di vedere soldi.
Chi si vergognava invece era Luigi Comencini, che negò di averlo fatto. In realtà aveva realizzato una serie per la SAI assicurazioni, che venne anche parodiata nel film Signore e Signori Buonanotte (Quello col bambino sulla canna della bici che canta insieme al papà).
Negli anni 70 poi arrivarono anche le pornostar: c’erano Cicciolina, Anna Maria Rizzoli, Marina Frajese. Quest’ultima era una bella donna e ne fece tanti. Se pensi alla serie Lux, c’erano tutte le grandi star mondiali che facevano spot diretti da registi pazzeschi.
FR: Chi fu la mente dietro a Carosello, quando nacque nel 1957?
MG: In realtà non fu una sola, furono varie menti Rai. Ci sono diversi contenziosi per il riconoscimento di “inventore ufficiale di Carosello”. E’ interessante invece la genesi, perché in un primo tempo la Rai intendeva fare soltanto dei normali sponsor. Esistono filmati con Alberto Bonucci o Giancarlo Cobelli che reclamizzano prodotti su un modello più simile a quello moderno di Mediaset, tipo le televendite con i materassi. Ma non andavano bene. Poi a un certo punto a qualcuno venne in mente di immaginare una gara: Carosello in fondo è questo, una gara fra varie ditte a suon di filmati. Tanto è vero che noi li guardavamo tutti e ci confrontavamo poi su quale fosse il più bello e il meno bello. Una sorta di torneo, una giostra: un carosello. Ma non è solo questo: c’è anche una componente partenopea, il caruso napoletano, il bimbo con la testa rapata che ci riporta in mente un prodotto per i più piccoli.
Erano strutturati in modo che per ogni serie trasmessa il pubblico potesse godersi sempre cinque pezzi diversi e di diverso genere: c’era quello musicale, quello realistico, quello comico e così via. Ad esempio quelli della Shell fatti dal vecchio Emmer erano tutti neorealistici con attori completamente sconosciuti. Shell era stato il logo della guerra persa e voleva recuperare, come immagine, il calore della famiglia. Me lo spiegò Emmer in prima persona.
FR: Qual era il genere preferito dal pubblico?
MG: Ovviamente Fin da subito il genere che prevalse fu quello del cartone animato, che in Italia fino ad allora aveva stentato. Nel carosello i cartoni animati erano fondamentali. Noi bambini dopo ore di tribuna politica, di padre Mariano, del professor Cutolo, di tutta questa roba tremenda, impazzivamo nel vedere comparire fido Bau, capitan Trinchetto, Coccobill. Era una bomba. C’erano slogan formidabili E li imparavamo tutti a memoria:“Capitano, lo possiamo torturare?”(Capitan Trinchetto), “Vitaccia Cavallina!”(succhi di frutta Derby). Il linguaggio all’epoca era ricchissimo.
FR: Prima di carosello il cinema d’animazione in Italia era praticamente un deserto.
MG: Esatto, si faceva pochissimo cinema d’animazione. C’erano sempre gli stessi studi, come la Gamma film dei fratelli Gavioli o la Pagot film dei fratelli Pagotto. Soltanto che erano più piccoli.
FR: Poi con Carosello tutto il cinema d’animazione ha un boom e nascono miti come Calimero.
MG: E insieme a loro nascono i primi grandi animatori: ad esempio Bruno Bozzetto si è affermato anche grazie a Carosello. Lui faceva Unca Dunca, pubblicità Riello, non so se ricordi.
Il grande pubblico scopre Osvaldo Cavandoli, che è un personaggio storico dell’animazione italiana, un eclettico che aveva lavorato coi Pagot. Arrivò tardi a una produzione propria ed è diventato celebre grazie a “La linea” (pentola Lagostina), una delle idee più strepitose che andrà avanti per tantissimi anni.
FR: e le case di produzione?
MG: Con Carosello ne nascono di nuove, altre c’erano già ma erano piccole e divennero studi giganteschi per merito di Carosello.
Alla Gamma avevano una mole inimmaginabile di lavoro. Gli studi che Gavioli aveva comprato a Milano, dopo la loro chiusura, diventano Milano 2. Il sogno di Carosello quindi diventa il sogno di Berlusconi.
Anche Lo studio Testa, di Armando Testa, che era inventore di slogan e produttore, si occupava di tutto in maniera indipendente. Oggi funziona diversamente: di norma c’è un agenzia che ha un’idea e poi la passa a uno studio di esecuzione. Armando Testa i primissimi anni faceva tutto da solo. Caballero e Carmencita (Lavazza), Papalla (Philco), Pippo e i pannolini Lines, erano opera dei suoi uomini.
Non stupirti se ti dico che con la morte di Carosello nel 77, il 60% del cinema a Roma muore. Producevano tantissimi spot e questo determinò una grave battuta d’arresto per il loro lavoro.
FR: Chi erano gli autori di questi tormentoni ormai mitici?
MG: Erano tanti. Il più importante è Marcello Marchesi, il signore di mezza età. Non so quanti jingle e quante battute ha inventato. Ma c’era anche Alfredo Danti, della Gamma film dei fratelli Gavioli.
FR: Pasolini fece mai carosello?
MG: Glielo chiesero e lui rispose di no, ma che poteva farlo Ninetto Davoli. Così nacque la scena famosa della bicicletta, che è una specie di spin off della sequenza di Boccaccio 70, amore e rabbia, di Pasolini. La regia era di Giulio Paradisi, ma la fotografia era di Tonino Delli Colli: hai lui, hai Davoli, era una roba pasoliniana pur trattandosi di una pubblicità di Crackers (Saiwa).
FR: Carosello aveva un codice etico?
MG: Non potevi mettere in bocca a un bambino il vino. non potevi fare vedere prodotti di lusso, come le pellicce. L’unica auto pubblicizzata era l’Innocenti (chissà perché!), non c’era la Fiat. Lo spumante era l’asti Gancia, un marchio nazional popolare. Dovevi dare dell’Italia un’immagine non povera ma nemmeno troppo ricca, c’era il gusto del semplice ed era bandita opulenza.
FR: Abbiamo immagini con attori neri o afroamericani?
MG: Non avevano gli attori neri. Ho visto sketch discutibili con attori bianchi travestiti da neri, ma non per scelta razzista: non si trovavano proprio gli attori neri. C’era però Kadigia Bove, un’attrice nera, che faceva la pubblicità dei materassi. La famiglia però era rigorosamente bianca.
Il cinema italiano paradossalmente era più avanti rispetto a ora, perché non c’era il problema dell’immigrazione. Se pensi anche a Calimero: “tu non sei nero, sei solo sporco”. In realtà era una cosa molto ingenua, ma oggi anche questa scatenerebbe un putiferio.
FR: Ti ho fatto la domanda perché sbirciando i commenti in internet leggo che per molti era razzista…
MG: Non credo ci fosse un intento razzista.
FR: C’è qualche altro spot che vorresti ricordare?
MG: Marchesi ne inventò una per la pasta combattenti: la pasta che si mangia con la baionetta. Non andò mai in onda.
C’era lo spot sul confetto Falqui, il cui slogan è mitico: “Basta la parola”.
Lele Luzzati, un grandissimo animatore, aveva fatto un carosello a colori per la pasta Barilla. Pulcinella arrivava in trattoria esclamando:“in trattoria si mangia Barilla!”
Però non piacque. Dissero “No, in trattoria non si mangia Barilla. Barilla si mangia a casa”.Anche questo non andò mai in onda.
FR: In questo sito ci occupiamo tanto di Collezionismo e Carosello riveste ancora oggi un argomento di interesse per numerosi appassionati, collezionisti di gadget e curiosità del passato. Credi che Collezionare sia un modo per rimanere connessi alle proprie radici e alla propria infanzia oppure oggi si è perso completamente quel senso ed è più che altro moda?
MG: Il 900 ci perseguita, anche io compro ancora oggi i soldatini con cui giocavo da piccolo. Anzi avete qualcosa dei garibaldini? Il senso per me c’è ancora, ed è quello di toccare e riavere nuovamente quello che avevi quando eri piccolo. Cerchi di toccare cose che hai in testa, intangibili. Questo è il senso del collezionismo. Quando muoio spero che mia figlia butti tutto.
FR: No! Che butti tutto! E noi che ci stiamo a fare?
MG: Io se vuoi ti faccio vedere com’è la mia stanza. C’ho Coccobill, topi gigi, il gigante Ferrero. Fido Bau, il gelato fortunello. I pezzi dell’epoca. Mi domando però che fine faranno tutte queste cose. Anche i nostri libri, cosa ne sarà dei nostri libri?